OCCUPAZIONE

Dobbiamo chiederci in che modo ed in quale misura le operazioni che abbiamo appena descritto inducono occupazione aggiuntiva.

Certamente ne induce l’operazione iniziale, dalla quale abbiamo tratto l’energia necessaria per innescare il processo, ossia la realizzazione di una gran parte della produzione latente statica: ma la quota di lavoro assorbita per questa via è modesta, ed è inversamente proporzionale all’efficienza dell’apparato produttivo.

Dobbiamo cercare la nuova occupazione tra le conseguenze della spesa del denaro sintetico.

I sussidi concessi ai soggetti a reddito debole – pensionati, categorie sottopagate – ne migliorano il tenore di vita, ma non generano occupazione.

Genera invece occupazione – e molta – l’abbassamento dell’età pensionabile: questo, unito all’ingente carico produttivo addizionale imposto alle imprese, implica la necessità del corrispondente ricambio, eccettuati i casi nei quali le posizioni di lavoro perdute erano improduttive, la cui perdita è comunque un vantaggio per il Sistema produttivo.

Il denaro sintetico speso per pareggiare il Bilancio (cioè per coprire il carico della parte di spesa pubblica sostenuta in deficit) non induce occupazione.

Neanche la graduale presa in carico della spesa pensionistica induce occupazione ma allevia le imprese in quanto non operanti sul mercato interno, con il correlato vantaggio tattico a livello di esportazione.

Dall’espansione del Welfare ci si deve aspettare una gran massa di nuova occupazione, e generalmente piuttosto qualificata: sarà forse necessario verificare con estrema cura la preparazione dei nuovi occupati, e forse migliorare la loro formazione, ma il risultato va nella direzione indicata.

Altrettanto grande è la massa di occupazione indotta dai lavori pubblici minori, che sommati insieme divengono quantità grandissime; naturalmente è indispensabile che per tali lavori si crei un mercato altamente competitivo, e che le retribuzioni – ancorché in denaro sintetico – siano corrisposte soltanto a fronte di risultati misurabili.

Ma la moderna elettronica è proprio uno strumento apprestato dalla Storia (in parte per caso, in parte per le sue dirette connessioni con le cause della crisi) proprio per misurare con grande esattezza i fenomeni dell’economia.

Il metodo accennato si presta a generare una quantità di occupazione potenzialmente molto maggiore di quella disponibile e dunque, nelle presenti condizioni del Sistema produttivo, va oltre la piena occupazione.

Tuttavia (salvo diversa ed esplicita volontà politica) esso non è adatto a sostenere l’occupazione di manodopera immigrata, in quanto l’obbligo di spendere per intero mese per mese l’intero reddito (nonostante le possibili deroghe per l’accumulazione finalizzata) mal corrisponde, in generale, alle esigenze degli stranieri.

I nuovi occupati, se l’organizzazione non è dispersiva, producono molto più del loro reddito netto, all’incirca tra il doppio ed il triplo: pertanto la loro allocazione induce un corrispondente incremento del PIL, ciò che ne determina un secondo balzo, in quanto per questa strada si è liberata una porzione significativa della produzione latente dinamica.

Lo Stato, infatti, non esercita pressione fiscale su sé stesso, cosicché il denaro sintetico erogato corrisponde esattamente al reddito netto dei lavoratori interessati, e non al reddito lordo; inoltre sulle produzioni latenti non si formano profitti né industriali né finanziari.

È possibile determinare ulteriori e maggiori crescite del PIL, ma con interventi più complessi, i quali richiedono come presupposto l’assestamento delle tecnologie studiate fino a qui.

La strada passa attraverso l’ammodernamento spontaneo – o forzato – delle imprese ed un ulteriore potenziamento dei cosiddetti “big data”.

Il lettore deve osservare che, in presenza della capacità tecnica di creare, per molto tempo, occupazione ad libitum le imprese potranno licenziare i dipendenti in eccesso senza particolari remore, se sapranno farlo senza abbattere la produzione.

Le imprese attueranno così lo snellimento necessario ad affrontare ulteriori sfide del mercato interno e mondiale, senza dar luogo a problemi sociali eccessivamente gravosi, e senza impoverire la porzione del mercato composta dalla collettività dei loro dipendenti (il quale mercato è il primo presupposto della sopravvivenza quasi tutte le imprese).

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