PERCHE’ IL KEYNESISMO NON FUNZIONA PIU’

Non è possibile sperare di parlare compiutamente del Keynesismo in una pagina; ci interessa soltanto accennare perché e quanto funzionasse nel passato, e ciò ci insegnerà subito perché non funziona più da molti anni a questa parte.

Si suole spessissimo confondere la spesa in deficit con il keynesismo, ma ciò non è molto esatto; il keynesismo di Keynes è tutt’altra cosa, ma qui non possiamo approfondire.

Rinunciamo per momento a tale importante distinzione, e vediamo l’effetto sul mercato di un’immissione di denaro in deficit, più o meno come se esso fosse stampato dallo Stato.

Se il denaro è investito in opere pubbliche ne fa crescere la domanda e poi, progressivamente, si trasferisce nei proventi di varie imprese minori ed infine, dei consumatori; se è investito direttamente in consumi, giunge direttamente ai consumatori.

La maggiore domanda dei consumatori fa crescere in proporzione la produzione di beni di consumo, se non per qualità (le merci acquistate possono non crescere proporzionalmente) almeno in valore.

Se per aumentare la produzione qualche impresa deve potenziare la sua capacità produttiva, si determina nuovo investimento, che farà crescere ulteriormente la domanda sia di Capitale fisso, sia di Capitale circolante, sia di lavoro, e si creano meccanismi di auto-amplificazione del mercato, grazie all’intervento dei famosi moltiplicatori.

Ciò è valido a condizione che il Sistema obbedisca ancora ad una logica essenzialmente manifatturiera, com’era appunto fino agli anni ’80: c’era ancora una certa proporzione tra la produzione ed il lavoro necessario a conseguirla, ed il Capitale fisso non era troppo discontinuo, cosicché modesti aumenti di produzione producevano nuovo Capitale in misura modesta ma non nulla.

Ma dopo gli anni ’80 il Capitale divenne sommamente discontinuo, cosicché ogni ampliamento degli impianti poteva essere motivato soltanto da un enorme aumento della produzione, e non già dalle immissioni statali di denaro, tutto sommato sempre relativamente piccole.

La conseguenza è che una spesa in deficit di dimensione praticabile non induce più investimento, ed il mercato si limita ad incrementare in proporzione la produzione finale: la quale, se la spesa non si reiterasse ogni anno, scenderebbe di altrettanto.

Per ottenere un effetto stabile, l’immissione deve essere operata ogni anno e se il denaro, invece di essere stampato, fosse preso a prestito, il cumulo diverrebbe rapidamente insopportabile – ed è appunto ciò che accade.

Ma c’è di più: poiché l’apparato produttivo è potentissimo, la maggiore produzione non costituisce quasi nessuno sforzo per le imprese: con ragionamenti semplici e sotto ipotesi realistiche si può dimostrare che il costo complessivo della nuova produzione è pari al costo del solo lavoro supplementare che essa richiede, il quale a sua volta è quasi nullo.

Qualcuno obietterà che una parte considerevole di tale produzione si ottiene per importazione, ma questo aggrava il quadro.

Il denaro introdotto in deficit fluisce subito nelle casse delle imprese, in proporzione alla loro forza relativa, a fronte di un costo quasi pari a zero: pertanto ne accresce i profitti, che potrebbero essere minimi o persino negativi in assenza di intervento, ossia nel mercato libero.

I profitti così realizzati non possono essere investiti, perché gli apparati produttivi sono molto più potenti della domanda corrente (ai fini del traino dell’economia il semplice rinnovo degli impianti logorati non è investimento, al più è mancato disinvestimento)

E poiché non possono essere investiti fluiscono in parte nei consumi di lusso (ciò che è economicamente sano) ed in parte molto maggiore cadono nel pozzo finanziario, ciò che, oltre una certa misura, è patologico.

Da qui si evince che, nelle presenti condizioni, il denaro immesso in deficit è in sostanza regalato ai cosiddetti “mercati”, cioè agli stessi che poi biasimano o sottopongono a rating la solvibilità del donatore.

Oggi (Feb-2021) assistiamo all’apoteosi – o forse al canto del cigno – di questa metodologia: colta l’occasione offerta dal COVID tutti hanno dimenticato i principi elementari della contabilità, e (consci delle inevitabili restrizioni future) inondano il mercato con un’orgia di denaro, molto superiore a qualsiasi perdita effettiva di reddito reale si possa esser determinata, il cui risultato sarà un’ulteriore compromissione della stabilità dell’edificio.

Se il denaro sia stampato o preso in prestito non è così rilevante come si può credere, tranne che nel secondo caso esso produce, in aggiunta, interessi: questa forma di denaro non produce inflazione (generale) perché non circola, che sia stampata o meno.

Nel modello teorico del keynesismo essa dovrebbe circolare, e generare espansione; oggi invece serve soltanto ad attuare una forma di circolazione del denaro che non permea ma appena sfiora l’economia produttiva.

È una macchina ciclica che prende a prestito denaro dai mercati, e lo regala subito per intero agli stessi mercati, dopo che esso è passato accanto all’apparato produttivo – e non per potenziarlo ma soltanto per mantenerlo stazionario (a meno che, a sua volta, il deficit non cresca di anno in anno, cioè si ponga in atto un’accelerazione del deficit).

Questa sorta di circolazione extracorporea del denaro nuoce grandissimamente alla salute del Sistema, e non può essere ignorata ancora a lungo.

La questione qui posta non è morale – sebbene gli aspetti morali possano non mancare – ma rudemente matematica: una classe capitalistica che dovrebbe accumulare Capitale non fa altro, da molti decenni, che accumulare carta, come un giocatore che al Casinò trucca il gioco soltanto per accumulare masse enormi di fiches, senza nessuna speranza di poter mai passare alla cassa.

Una classe imprenditoriale che vuole arricchire senza produrre Capitale è una sorta di contraddizione, e sembra voler ignorare che cosa significhi la parola “Capitalismo”, la quale è dotata di un significato economico – ed anche storico – ben preciso.

Da qui hanno origine le grandissime diseguaglianze indotte nel Sistema, tali che persino il feudalesimo, al confronto, finirebbe col sembrare un regime egualitario.

Ma soprattutto da qui nasce l’impossibilità del Sistema di svilupparsi realmente (le crescite occidentali contemporanee sono piuttosto fiabesche) ciò che a lungo andare ci condurrà ai piedi delle grandi Potenze emergenti.

Da qui nasce anche la pericolosa instabilità finanziaria del nostro Sistema, nonché la forte attenuazione della democrazia, la quale si fonda sul consenso e dunque sul successo.

È nostro compito studiare come si possa ottenere un gran vantaggio dai fenomeni appena descritti, perché il costo quasi zero di una grande produzione aggiuntiva è, di per sé, un fenomeno fortemente positivo.

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