IL PIL PERDUTO Posseduti
dai nostri demoni, noi attendiamo del tutto passivamente – si potrebbe dire
fatalisticamente – che il caso, o gli dei, o il mercato, o la guerra risolvano
i nostri problemi. Intanto
viviamo sempre più miserabilmente in mezzo alle più grandi sorgenti di
ricchezza che il mondo abbia mai avuto: noi trascuriamo quasi dolosamente una
parte grandissima della nostra potenziale ricchezza, parte che possiamo
valutare all’incirca, a metà. Significa
che se mettiamo in opera quello che in economia equivale alle pompe prementi (ossia
condurre il Capitalismo a funzionare a pieno regime anche per quella parte
che non è disposta a funzionare spontaneamente) il nostro cosiddetto PIL
potrà aumentare – superati gli ostacoli tecnici ed organizzativi – di almeno
il 100%; ancora più se nel contempo si accresce – simmetricamente – l’efficienza
nella produzione. E
comunque, disporremo per intero di tutta la ricchezza che saremo in grado di produrre,
quale che sia, senza che la barriera dei 10,33 metri ci possa fermare. Per
inciso, a causa della nostra inerzia mentale, la detta barriera ci costringe,
ad onta dell’immenso vantaggio che avevamo accumulato, ad aspettare in
surplace di essere raggiunti (e forse superati) dalle numerose
Potenze emergenti. Gli
impianti produttivi in Italia, ma anche negli USA, sono utilizzati per due
terzi, più o meno al 65%: appare evidente a chiunque – eccettuati i politici
e gli economisti – che non è ragionevole produrre ulteriori impianti fino a quando
quelli esistenti non saranno utilizzati al 100%, e con prospettiva di
ulteriore sviluppo. Nessuno
può ragionevolmente creare nuovi strumenti di produzione, se quelli già
esistenti sono ridondanti rispetto a ciò che nel breve termine appare vendibile,
e sono inutilizzati per un terzo. Per
nostro uso futuro dobbiamo chiamare produzione latente tutta quella
produzione di beni e servizi che si potrebbe fare e non si fa: la dividiamo
in produzione latente statica, quella che i nostri impianti potrebbero
esplicare senza necessità di ampliamento, con l’organico completo (produzione
pari a circa il 35% della loro capacità produttiva, ossia circa al 50% in più
rispetto alla produzione effettiva attuale) ed in produzione latente
dinamica, quella che si potrebbe esplicare mettendo in moto tutte le
capacità produttive materialmente e tecnologicamente disponibili, compresa la
costruzione di ulteriori apparati, com’è successo ad esempio agli Stati Uniti
d’America nel biennio conclusivo dell’ultima guerra. Naturalmente
la produzione latente non è bloccata soltanto dalla malafede o
dall’inettitudine degli imprenditori o dei politici, ma da potenti leggi
economiche: così l’ascesa dell’acqua sopra i 10,33 metri è impedita da leggi
ancora più potenti, e tuttavia con un uso appropriato dell’ingegno può essere
conseguita. Nell’attuale
situazione del mercato e con le regole vigenti, nel breve termine sono
possibili soltanto alcuni ammodernamenti, i quali in generale non possono
essere considerati investimenti espansivi; e comunque su scala estremamente
piccola. Ma
siccome – quando, in passato, gli impianti erano scarsi – la dottrina diceva
che costruirne di nuovi induce occupazione e benessere, la superstizione
spinge i politici ad invocare la crescita attraverso l’investimento senza
nemmeno chiedersi che cosa significhi. Ovviamente
ciò non funziona mai, e così ci siamo autocostretti ad utilizzare come unico propulsore
l’accrescimento del debito pubblico, cosa che (fantasiosamente) chiamiamo
keynesismo. Ma
vediamo ogni giorno che è un propulsore estremamente debole, sostanzialmente
insostenibile a medio e lungo termine. Inoltre il
denaro in disavanzo è la causa prima della crescita delle diseguaglianze e di
distorsioni del mercato tanto grandi che solo con difficoltà l’Occidente contemporaneo
può essere ancora considerato economia di mercato. Infatti
dappertutto, a cominciare proprio dagli Stati Uniti d’America, l’unico motore
effettivo dell’economia è divenuto lo Stato: e non come fertilizzatore ma come
potenziale bancarottiere e come devastatore capillare dell’economia di
mercato. |
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