PROPOSTA POLITICA

 

Molto difficilmente il lettore ordinario potrà comprendere immediatamente la presente proposta politica, a causa dei suoi contenuti tecnici e tecnologici.

Tuttavia con un minimo sforzo potrà afferrare senza troppe difficoltà la sostanza del suo contenuto; e riservarsi il completo possesso dell’argomento per quando avrà acquistato le conoscenze di base necessarie, molte delle quali sono esposte, a livello divulgativo, in questo stesso documento (v. glossario).

Cercare di informarsi e capire che cosa accade è nel suo interesse, perché il Sistema dal quale dipende il suo reddito ed in ultima analisi la sua vita, è in caduta; dalla Politica l’elettore deve pretendere che compia i passi necessari ad attutire l’urto o a schivare l’impatto, i quali non coincidono affatto con il progressivo, supino impoverimento cui stiamo andando incontro volontariamente.

L’azione politica attuale equivale, sostanzialmente, all’abbandono di ogni azione: ci stiamo avvicinando (da posizioni sempre più deboli) all’inevitabile insolvenza finale dell’intero Occidente e del Giappone, la quale distruggerà tutto, compresi coloro che credono di trarre vantaggio dalla situazione presente.

 

Ancora più difficilmente potranno comprenderla i cosiddetti economisti verso i quali (sarebbe vano negarlo) nutriamo pochissima o nessuna stima; forse essi avrebbero, in astratto, le nozioni tecniche sufficienti: ma i loro ingegni, quali che siano, sono ottenebrati dal fanatismo.

Lo stesso fanatismo che li ha indotti a portarci fino al punto al quale siamo arrivati e li fa insistere per condurci ad una situazione ancora peggiore; lo stesso fanatismo che fa credere loro che scienza significhi sottomissione cieca al Potere, anche quando tale Potere non sembra aspirare ad altro che al suicidio.

Essi negano ciò che è ormai evidente a ciascuno, che siamo immersi in un Sistema che non funziona: e non per caso o per un concorso eccezionale di contingenze, ma per la stessa logica interna che lo governa.

Essi ci stanno insegnando cose nuove in Economia, dottrine che i grandi classici ignoravano del tutto: che la ricchezza si aumenta riducendo la produzione, o che i Sistemi economici perfetti mantengono i vecchi al lavoro ed i giovani in ozio, o che il lavoro non è la fonte primaria ed anzi unica di ogni risorsa, come diceva Smith, ma un balocco superfluo e costoso, un fastidio sociale che aduggia e disturba il denaro, per la cui messa in opera non ci sono risorse.

Questi economisti vogliono stimolare la produzione attraverso nuovi investimenti, in un Sistema la cui tara principale consiste nella sovrabbondanza del Capitale investito in rapporto alla produzione vendibile: come quei medici che vorrebbero curare il diabete attraverso lo sciroppo di zucchero; nessuna meraviglia che la crescita non arrivi mai.

 

La nostra trattazione parte appunto da questo assunto, che il Sistema non funziona; i sintomi più chiari sono che esso si rifiuta di produrre, lasciandoci tutti in miseria, e si rifiuta anche di occupare le persone in grado di lavorare (le due cose sono molto differenti tra loro).

Le cause di tutto ciò sono esposte in altre parti di questo documento, e l’analisi dimostra che non hanno natura occasionale ma strutturale nel senso più puro, e discendono dall’equilibrio raggiunto (in Occidente) tra il Capitalismo ed il mercato da esso stesso creato (v. la soglia beta).

Questa patologia cominciò a manifestarsi molto visibilmente nei primi anni ’80, e rese necessario un intervento pubblico (negli Stati Uniti d’America); poiché non era possibile né conveniente diminuire il Capitale reale (ciò che richiederebbe una guerra) si scelse di aumentare artificialmente la domanda.

La strada seguita fu però assai rudimentale, ed ingenua, adatta forse per superare una crisi congiunturale ma non certo una crisi di natura assoluta: si scelse di introdurre nel mercato denaro dall’esterno, attraverso il meccanismo del disavanzo statale e dell’indebitamento privato senza copertura.

Poiché la crisi è di natura fondamentale, e non ha nulla di occasionale, da allora non è stato possibile interrompere il procedimento ed ancor meno recuperare il denaro in eccesso precedentemente speso; si è rimasti invece intrappolati in un meccanismo condannato ad espandersi o a crollare.

L’azione è continuata senza successo per oltre un trentennio, generando la presente voragine del debito pubblico.

 

Oggi è ormai necessario ammettere che il finanziamento del Capitalismo attraverso un debito pubblico crescente ha raggiunto i suoi limiti, e non può essere proseguito; tuttavia il Sistema si rifiuta più che mai di produrre, e di generare lavoro.

La nostra proposta prende atto che è ormai impossibile stimolare la produzione attraverso un aumento della domanda, dopo aver stimolato la domanda immettendo nel mercato il denaro artificiale, e tossico, generato attraverso il disavanzo.

La nostra proposta consiste in qualcosa di molto evidente, e perciò invisibile agli occhi di quasi tutti: stimolare direttamente, ex imperio, la produzione; così si viene a statuire il contrario di quanto oggi economisti e politici ripetono costantemente a memoria, senza analizzarne né comprenderne il significato: si stabilisce precisamente che la crescita si fa per decreto.

Naturalmente ciò deve essere fatto senza disturbare la produzione esistente, e senza danneggiare i meccanismi del mercato; anzi, meglio, rientrando nel mercato, poiché un trentennio di debito pubblico sfrenato ce ne ha portati fuori, ed ha generato un apparato finanziario sproporzionato e patologico.

 

Il punto di partenza è una ben nota legge economica universale, dichiarata e condivisa senza riserve da tutti i grandi economisti: Adam Smith, David Ricardo, Karl Marx, John M. Keynes e quant’altri; questa legge si insegna tuttora a scuola, e tutti gli studenti in economia la studiano e la ripetono – come puro suono – agli esami, senza che né essi né i loro insegnanti compiano lo sforzo di comprenderne i significati profondi, e di coglierne le implicazioni.

Questa legge afferma che “il denaro è merce, e la merce è denaro”; non è una frase vuota, e non è un invito al baratto: è una delle chiavi fondamentali dell’economia e, nella nostra situazione particolare, è la chiave che apre la trappola nella quale siamo caduti; nel seguito la chiameremo “principio della merce-denaro”.

Il più grande sforzo finanziario – e forse industriale – della Storia dell’Umanità, cioè la costruzione delle Piramidi, in un tempo quando il denaro non c’era ancora, e tra i metalli si conosceva a stento il rame, fu possibile in grazia di questa legge.

Il giudizio su questa antica impresa (e su altre simili, quali gli enormi investimenti in opere pubbliche dell’Impero Romano) non è una misura della grandezza di coloro che l’hanno compiuta, la quale vola molto al di sopra dei nostri giudizi; è una misura piuttosto precisa del calibro di chi lo esprime: i grandi la troveranno grandissima, i mediocri la loderanno mediocremente, i risibili la irrideranno, gli stolti la biasimeranno, gli infimi la minimizzeranno.

Ma, per i fini di questo studio, ciò che realmente ci interessa è questo: a quei tempi avevano una capacità produttiva piccolissima, e s’ingegnavano per sfruttarla, oggi ne abbiamo una grandissima e lo scopo principale della nostra organizzazione complessiva sembra quello di sprecarla.

 

Imitare puntualmente gli antichi, oggi, non sarebbe possibile: le nostre produzioni sono troppo varie e diversificate e non possono essere usate direttamente come denaro in Sistemi economici di dimensione planetaria, nei quali le distanze spaziali e temporali sono grandissime.

Noi, d’altra parte, non dobbiamo costruire Piramidi ma perseguire obiettivi assai più modesti: dobbiamo semplicemente mettere a frutto le forze produttive che già possediamo, evitando di lasciarle ferme, come oggi è nell’uso: sia il lavoro degli uomini, sia la potenza delle macchine.

Ciò è sufficiente per recuperare il benessere e anzi l’opulenza cui gli strumenti che possediamo ci danno diritto, la quale abbiamo visto passarci vicino alcuni decenni fa e poi svanire nel nulla.

Non possiamo spiegare in dettaglio al lettore come si fa, perché è troppo complesso; ma possiamo darne un’idea con il ragionamento che segue, per quanto molto semplificato; è inutile che il lettore muova obiezioni di dettaglio, perché le spiegazioni che seguono vogliono illustrare i principi, non i dettagli: per questi ultimi è necessario studiare – tecnologicamente e non politicamente – il progetto completo.

·     Per prima cosa comandiamo – con un’apposita legge – le imprese affinché aumentino opportunamente la loro produzione; in questo esempio (puramente illustrativo) le imprese interessate sarebbero quelle che producono i beni di consumo di prima e seconda necessità: l’aumento sarebbe molto vistoso, ad esempio di 1/3, con l’effetto di una campagna permanente 3 x 4 (in pratica sarà più probabile, almeno inizialmente, il più moderato valore di 1/5 piuttosto che 1/3).

·     Le imprese debbono versare la maggiore produzione (1/3 del valore precedente, 1/4 del nuovo totale) presso appositi supermercati, istituiti allo scopo (sono, ovviamente, supermercati virtuali, puramente elettronici); la proprietà delle merci versate compete allo Stato.

·     Per venire a capo della maggiore produzione le imprese sostengono costi significativi, ma non enormi, i quali costi, tuttavia, incrementano di altrettanto il potere d’acquisto disponibile sul mercato, il quale si aggiunge pressoché per intero ai loro ricavi; sussiste ancora qualche differenza, per la quale debbono essere indennizzate, con mezzi monetari perfettamente rigorosi, la cui genesi non può essere spiegata qui.

·     Nell’attuale situazione di sottoproduzione è molto improbabile che le imprese debbano compiere, per ottemperare alla manovra, degli investimenti significativi: ma se così fosse, sarebbe meglio, perché avremmo finalmente stimolato oltre alla produzione anche gli investimenti; tuttavia non è così.

·     Il mercato ordinario rimane sostanzialmente invariato: non sono cambiati di molto né la quantità di merci a disposizione delle imprese, né la quantità di denaro a disposizione dei consumatori, né i prezzi.

·     I supermercati virtuali contengono una quantità immensa di merci, pari ad 1/3 della precedente produzione totale di beni di consumo, il cui equivalente monetario è, all’incirca, il 25% del PIL precedente.

·     Se i beni presenti nei supermercati virtuali si regalassero senza contropartita, l’operazione farebbe comunque aumentare il PIL del 25%, esclusivamente a causa dell’uso più intenso della capacità produttiva di Sistema: si tratterebbe di una crescita alquanto più vistosa di quelle in programma attualmente, per di più conseguita, evidentemente, quasi senza nessun investimento e nessuna spesa di denaro in assoluto.

·     Ma le risorse, naturalmente, non si regalano, oppure si regalano a chi ne ha realmente bisogno, ad esempio i pensionati; nel nostro caso esse debbono essere usate, in primo luogo, per creare occupazione produttiva; ma ci sono altri scopi importantissimi, indicati più avanti.

·     È possibile assumere un gran numero di persone (milioni) per opportune attività (dopo aver introdotto pesantissimi misuratori elettronici individuali di redditività): si tratta di soggetti che debbono lavorare ovunque gli organici attuali sono carenti: scuola, sanità, magistratura, polizia, lavori pubblici, e così via.

·     Gli stipendi di queste persone sono pagati con denaro che qui, con parola impropria ma comoda per il lettore, possiamo chiamare virtuale; la coniazione di questo denaro elettronico speciale è un’applicazione pratica immediata del principio della merce-denaro, in versione moderna; con esso noi possiamo fare senza perdite nelle nostre complesse Società tecnologiche ciò che gli antichi Egizi facevano senza denaro e con poche perdite, e gli antichi Romani con poco denaro ma con molte perdite.

·     Il denaro virtuale coniato deve corrispondere esattamente alla quantità di merci disponibili nei supermercati virtuali, valutate al prezzo di mercato.

·     I nuovi occupati possono comprare tutto ciò di cui hanno bisogno nei supermercati virtuali (che nella pratica coincidono con i normali punti-vendita) ai correnti prezzi di mercato; il denaro virtuale che essi spendono per i loro acquisti scompare con la consegna delle merci.

·     Il denaro virtuale del tipo studiato in questa pagina è un denaro monouso, ossia un denaro che non circola e può essere utilizzato soltanto per gli acquisti nei supermercati virtuali; la merce contenuta in essi è di proprietà dello Stato, il quale con la cessione della merce riscatta la moneta che ha emesso e la distrugge, in perfetto ossequio al principio della merce-denaro. Queste operazioni non producono né debiti, né disavanzi, né effetti finanziari di sorta.

·     Il denaro virtuale può essere utilizzato per un altro scopo fondamentale: può servire a pagare una parte delle retribuzioni dei pubblici dipendenti, quanto basta per riportare in pareggio perfetto il Bilancio dello Stato senza alterare nessuna voce della spesa pubblica; la cosiddetta spending review può essere fatta successivamente, con criteri seri, e senza determinare recessione, da un Governo dotato del necessario prestigio (e conseguente potere).

·     Ci sono molti altri usi possibili del denaro virtuale, che risolvono altrettanti problemi strutturali; ma qui non possono essere discussi.

 

Se il lettore ha compreso pienamente questa pagina, dobbiamo credere che la condivida e la sostenga, con i mezzi che saranno indicati a suo tempo (v. manifesto elettronico); se non l’ha compresa e vuole sforzarsi di comprenderla, lo invitiamo a rileggerla attentamente o a chiedere i necessari chiarimenti (promozione@checosafare.it).

Se non l’ha compresa e non vuol comprenderla, dovremo pazientare ed attendere tempi … peggiori; che la crisi vada avanti e con la crisi avanzi la fame, la quale (si tramanda) ha il dono meraviglioso di aguzzare l’ingegno.